Thursday, February 14, 2008

Esteri


Venerdì il Kosovo dichiarerà unilateralmente la propria indipendenza dalla Serbia. Se non sarà proprio venerdì, come annunciato dal presidente della provincia Hashim Thaci, basterà attendere qualche settimana, nulla più. I tempi della diplomazia sono dilatati, ma non pregiudicano il succo della questione: il mondo che conta vuole l’indipendenza del Kosovo. Dietro la secessione ci sono grandi elettori come Stati Uniti, Germania, Francia e Gran Bretagna. Più freddina l’Italia, almeno fino a quando c’era Baffino al ministero degli Esteri.


Più di cento Paesi scalpitano per riconoscere immediatamente l’indipendenza. Perché tutta questa ansia da prestazione intorno ad una provincia grande poco più dell’Umbria e per di più in mano a degli odiati musulmani? C’è solo la volontà di riparare alla pulizia etnica subita da quel popolo? Ai complottisti regaliamo subito la soddisfazione di sapere che tra le tante lobby presenti negli Stati Uniti ne esiste anche una albanese, con la chicca che l’ex capo della Cia al tempo dei bombardamenti Nato in Serbia, George Tennet, era di origine albanese. La pulizia etnica in Kosovo c’è stata, ma è stata sovradimensionata dai media. Non era unilaterale e ancora oggi prosegue a danno delle enclave serbe in territorio kosovaro, nonostante la presenza della K Force.

L’attuale presidente Thaci è un ex guerrigliero dell’Uck. Oggi gli Stati Uniti lo reputano un interlocutore affidabile, ma fino a qualche anno prima dei bombardamenti del 1999, la sua formazione patriottica era nella lunga lista delle organizzazioni terroristiche. Non è certo la prima volta (fino al 1989 anche Nelson Mandela era indicato dagli Usa come “pericoloso terrorista”), ma questi repentini depennamenti segnalano cambi di strategia globale. Ecco quindi che l’indipendenza del Kosovo non può lasciarci indifferenti, e non solo per motivi umanitari.

Il sottosuolo del Kosovo, di per sé, non custodisce nulla per cui valga la pena combattere. La sua posizione, al centro dei Balcani, però è strategica. Gli Stati Uniti hanno impiantato lì una grande base militare per controllare l’area. L’Unione Europea sta lavorando ad un oleodotto-gasdotto strategico che passa proprio di lì e che la renderebbe meno dipendente dai rifornimenti russi. E a nessuno di questi interlocutori piace dover scendere a patti con la Serbia, meno incline a concessioni agli occidentali rispetto ad uno staterello creato ex novo e che ti deve una riconoscenza infinita.
Nei Balcani si sta giocando una partita a risiko a grandi livelli. Putin appoggia la Serbia. Lo vuole la storia, i capi ortodossi e l’affinità slava. Se non bastasse, la Serbia per comprarsi l’appoggio di Madre Russia ha svenduto la propria compagnia petrolifera, la Nis, alla Gazprom di proprietà del prossimo presidente della Russia, Medvedev. Da questa diplomazia del tubo, l’unica che rischia di rimetterci è l’Unione Europea. Con l’indipendenza, il Kosovo diventerà un protettorato dell’Ue. Sicuramente ci scapperà qualche bombetta nelle enclave serbe, ma soprattutto chi andrà a spiegare ai catalani e ai baschi che il Kosovo può fare la secessione e loro no?

Non è un caso che diversi Paesi europei abbiano chiesto al Kosovo di rimandare l’indipendenza a metà di marzo, dopo le elezioni in Spagna, per non destabilizzare Zapatero.

Ma ormai la macchina della geopolitica gira a pieno regime.

(di SoloAquilani)

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